Domani vado a lavorare all’estero ma non so come dire cosa so fare!

lavorare all’estero grazie ad ESCO

E se domani decidessi di andare a vivere o lavorare all’estero, in un altro paese dell’Unione, come potrei spiegare a miei potenziali datori di lavoro cosa so fare, cosa sono, che qualifiche ho?

Per questa cosa è nato ESCO!

Proviamo a vedere meglio di cosa si tratta.

Il Sistema Nazionale di Certificazione delle competenze

La prendo un po’ lunga, ma credo serva per comprendere il contesto.

Da qualche anno mi occupo di riconoscimento e validazione delle competenze acquisite in ambito non formale ed informale. Si tratta, in sintesi, di aiutare le persone a capire quali sono le competenze che hanno sviluppato lavorando, facendo volontariato, dentro lo youth work…

Ma a qual fine?

Non tutti lo sanno, ma la Legge Fornero (sì, quella degli esodati) ha previsto la nascita del Sistema Nazionale di Certificazione delle competenze. Il Sistema prevede che sia possibile farsi riconoscere le competenze per acquisire possibili qualifiche professionali. Per far questo le qualifiche sono state mappate in competenze e sono state condivise tra le Regioni, che sono in realtà le istituzioni che finora hanno gestito la formazione professionale e i profili di competenze per le qualifiche.

Quindi, se io oggi dovessi cambiare lavoro e non avessi la qualifica necessaria, ma avessi sviluppato nel corso degli anni le competenze richieste dal profilo professionale potendolo dimostrare (con quelle che sono chiamate “evidenze”) allora potrei farmele riconoscere “fino a qualifica”.

E quindi l’ESCO?

ESCO è la classificazione multilingue delle qualifiche, competenze, abilità e professioni in Europa e fa parte della strategia Europa 2020 ed è disponibile, nella sua prima versione, dal mese di luglio 2017. E’ uno strumento molto utile per chi voglia andare a lavorare all’estero.

Con ESCO possiamo individuare e classificare le abilità, le competenze, le qualifiche e le professioni rilevanti per il mercato del lavoro dell’UE e per l’istruzione e la formazione e mettere in relazione i diversi concetti.

Questo breve video può aiutare a comprenderne meglio il funzionamento:

… e già, è in inglese… per chi non è riuscito a comprenderlo, provo qui ad evidenziarne alcuni punti.

ESCO è utile per chi si occupa di occupazione e occupabilità (quindi anche gli youth workers…) perché:

  • ci fornisce un linguaggio condiviso e referenziato per l’occupazione e l’istruzione e formazione
  • aiuta la cooperazione attraverso i confini e le lingue

In Esco troviamo già mappate ed  analizzate 3,000 professioni, 13,500 abilità/competenze, 2,400 qualifiche e tutto questo è accessibile direttamente dall’interfaccia di ricerca nella lingua che si vuole (ce ne sono 26…).

Proviamo ad usarlo…

Ho provato ad usarlo, cercando youth worker in italiano, immaginando che possa servire a chi di noi voglia andare a lavorare all’estero, in un altro paese dell’Unione.

Risultato: nessuno.

Ho fatto allora la ricerca in inglese, sempre per youth worker. Questo il risultato:

Come previsto, la professione youth worker è mappata in inglese con una serie di etichette alternative ma anche di professioni più o meno contigue.

Posso fare una prima “traduzione” in italiano e vedere che effetto fa. Come? cambiando la lingua da inglese ad italiano sulla scheda della professione.

Ecco, la traduzione della professione forse è un po’ deludente… Assistente sociale per i giovani mi pare un po’ fuorviante rispetto anche alla traduzione stessa che la Commissione dà rispetto allo youth worker nei documenti ufficiali (animatore socioeducativo).

E quindi?

Ho avuto l’occasione di parlarne con Dimitrios Pikios, programme manager della Commissione Europea, che si occupa di ESCO.

La mia perplessità è stata accolta (“siamo ad una prima versione, dobbiamo partire con un vasto progetto di affinamento ed eventuale revisione dei termini”).  Anzi, mi ha sollecitato a facilitare il miglioramento delle traduzioni mandando alla Commissione eventuali rimandi e suggerimenti.

Credo che questo sia importante e necessario, e se non lo facciamo noi, youth workers, rischiamo che altri che non conoscono il nostro lavoro lo facciano per noi.

Una seconda funzione molto, molto interessante è quella delle competenze connesse alla professione. Stiamo sempre sullo Youth Worker, ora nella versione italiana. Ecco il risultato da screenshot:

L’elenco in realtà continua oltre la schermata. Se andiamo su una di queste voci ed entriamo, troviamo una descrizione breve della competenza, con la connessione con le professioni in cui questa competenza è presente:

Unico problema: è in inglese! chiaramente anche qui si evince come il portale sia ai suoi primi vagiti e ci sia un lungo lavoro ancora da fare.

Uno strumento molto utile

Per concludere: ESCO è uno strumento assolutamente interessante e utile per tutti coloro che fanno orientamento ed accompagnano i giovani nel riconoscimento delle proprie competenze acquisite ovunque e non solo nei contesti di istruzione e formazione perché:

  • aiuta a dare ordine nelle competenze;
  • suggerisce le parole a chi forse non riesce a dirle;
  • aiuta a fare ponte fra le nostre esperienze di apprendimento ed il mondo delle competenze in istruzione e lavoro.

E’ assolutamente migliorabile, e per farlo noi possiamo dare un contributo significativo andando a controllare le professioni che ci interessano, individuando le competenze/abilità e suggerendo modifiche agli estensori delle voci. Sono tutti contributi importanti per chi voglia, un domani, andare a lavorare all’estero.

Se avete commenti, lasciateli qui sotto e ne parliamo, ok?

Youth Worker formati in università? in questi paesi accade…

Youth Worker in Europa

 

In Italia sappiamo che chi lavora con i giovani (in altri paesi, lo youth worker)  ha un background formativo molto variegato: educatori, animatori, antropologi, periti industriali, psicologi, architetti… Ma negli altri paesi europei?

Oggi inizierò a raccontare cosa avviene in un paese molto lontano da noi, la Finlandia, dove ho intervistato Sari Höylä, simpaticissima Senior Lecturer a HUMAK – University of Applied Sciences – Helsinki. Sari è membro dello Youthpass Advisory Group della Commissione Europea di cui faccio parte anch’io.

La formazione in generale

D: Sari, gli youth worker che tipo di formazione hanno in Finlandia?

R:  Il nostro livello di Bachelor (corrispondente alla nostra triennale – ndr) si chiama Civic Activities and Youth Work e richiede 3 e ½ e, dal punto di vista dei crediti formativi corrisponde a  210 ects.

Grazie alla nostra normativa gli studenti laureati dovrebbero lavorare sul campo almeno 3 anni prima di essere in grado di prender parte ad una specialistica (Master degree) fatta dalle Università di scienze applicate.

Nel nostro caso si chiama “Master degree NGO and Youth Work” e dura almeno 2 anni e vale 90 ects.

Pratica nel lavoro

D: quindi mi stai dicendo che i neolaureati sono spinti a fare pratica prima di proseguire gli studi?

R: certamente! del resto, anche a livello di Bachelor facciamo stage anche all’estero. Abbiamo, per dire, un semestre internazionale dove cerchiamo di formare competenze interculturali e di lavoro in contesti aperti ai nostri studenti.

D: Questa è una innovazione molto interessante rispetto ai nostri percorsi, che al massimo usano l’Erasmus per fare un semestre in un’altra università, non a fare youth work all’estero! Ma come è strutturato il percorso del Bachelor?

R: Innanzitutto, bisogna segnalare che con il progredire degli studi, gli studenti sviluppano costantemente le loro competenze professionali in vari settori della società, ambienti operativi internazionali e multiculturali, comunità diverse, social media e lavoro online in tempo reale.

Obiettivo della formazione

L’obiettivo principale degli studi è lo sviluppo delle capacità lavorative generali e il graduale miglioramento delle capacità professionali necessarie nelle ONG e nello Youth Work. In accordo con la percezione integrativa dell’apprendimento, l’obiettivo è rafforzare la conoscenza teorica, pratica, socio-culturale e autoregolata degli studenti durante gli studi.
Gli obiettivi guida del curriculum includono un maggiore autocontrollo, una crescita professionale orientata alla vita lavorativa e competenze professionali rafforzate degli studenti.

D: ci sono diversità negli anni di studio?

R: certamente. Gli studi del primo anno iniziano con studi multidisciplinari comuni offerti da Humak, con l’obiettivo di introdurre gli studenti alla pedagogia di Humak e all’insegnamento basato sul gruppo di formazione e prepararli per il lavoro multidisciplinare tra programmi di formazione. Gli studenti sono anche familiarizzati con il know-how professionale multidisciplinare che costituisce la base delle attività civiche e delle ONG e del lavoro giovanile. Gli studi di educatore di comunità e gli studi professionali comuni completati durante il primo anno sono la base delle ONG professionali e del lavoro giovanile.

Il secondo anno

Nel secondo anno, gli studenti continuano a costruire il loro know-how professionale e si concentrano sul miglioramento sistematico e orientato agli obiettivi. Gli studi professionali disponibili offrono loro l’opportunità di migliorare il loro know-how pratico e le abilità socioculturali necessarie nelle ONG e nel lavoro giovanile. Gli studenti possono anche scegliere studi opzionali inclusi nei loro programmi di laurea Humak o in altri corsi offerti da altre università di scienze applicate.

Durante il secondo anno di studio, gli studenti Youth Worker lavorano sempre più spesso in autentici ambienti di apprendimento della vita lavorativa. Ove possibile, gli studenti possono lavorare in importanti eventi nazionali o in seminari organizzati nel proprio settore. Migliorare costantemente le capacità professionali e il suo rapporto con la condivisione e la riflessione delle esperienze lavorative maturate in gruppi di formazione e seminari, facilita il continuo rafforzamento della base di conoscenze teoriche e pratiche degli studenti.
Nel terzo anno, gli studenti si concentrano sugli studi di specializzazione professionale e migliorano il loro know-how e le loro competenze professionali nel loro campo professionale, con un chiaro focus su ONG o sullo Youth Work. I compiti che richiedono un lavoro indipendente e una gestione completa delle attività diventano più frequenti, con l’obiettivo di rafforzare le capacità di autoregolamentazione.

La valutazione

D: e la valutazione come avviene?

R: La crescita professionale degli Youth Worker di comunità è un processo che continua durante gli studi. Vengono fissati obiettivi per la crescita professionale e la crescita viene valutata attraverso discussioni sullo sviluppo e valutazioni basate sulle competenze; questi sono fatti ogni anno accademico.

D: ci dicevamo che c’è anche una possibilità di studio o pratica a livello internazionale. Come avviene?

R: Ove applicabile, gli studi per Youth Worker completati in ambienti operativi internazionali e multiculturali in Finlandia e all’estero sono completati in conformità e integrati con le unità di studio incluse nel programma.

Questi includono un modulo di studio del semestre internazionale di 30 ECTS. Gli studi completati in un istituto di istruzione straniera o attraverso la formazione pratica possono essere inclusi in questo modulo, utilizzando gli obiettivi ei contenuti specificati dall’istituzione straniera, che devono essere compatibili con il programma di laurea in attività civiche e lavoro giovanile. L’obiettivo è che ogni studente all’interno del programma completi un minimo di 30 ECTS di studi internazionali e / o multiculturali.

D: grazie mille, Sari! una prossima volta ti chiederò delle novità che mi annunciavi in corso per il futuro!

R: prego, a disposizione! ed in bocca al lupo per gli youth worker italiani!

Cosa fa lo Youth Work oggi?

Ho ripreso ultimamente il documento finale della Convenzione europea sullo Youth Work del 27-30 aprile del 2015 a Bruxelles, in cui più di 500 delegati da tutt’Europa si sono trovati per ragionare sullo youth work e sulle sfide attuali da affrontare.

Mi sono reso conto di alcune intuizioni interessanti che vale la pena divulgare.

Intanto hanno definito alcune dimensioni del ruolo ed impatto dello youth work:

  • favorire l’avanzare della democrazia, dei diritti umani, della cittadinanza, dei valori europei, della partecipazione, delle pari opportunità
  • promuovere la costruzione della pace, della tolleranza, dell’apprendimento interculturale; combattere la radicalizzazione, prevenire l’estremismo
  • affrontare e gestire le ambiguità sociali e personali ed il cambiamento
  • rafforzare le identità e appartenenze positive e l’autonomia
  • sviluppare le soft skills, le competenze e le abilità, coltivando capacità di navigazione e ampliando gli orizzonti personali
  • abilitare le transizioni verso una adultità “di successo”, particolarmente nell’istruzione e nella vita lavorativa
  • cementare l’inclusione sociale e la coesione
  • ingaggiare i giovani in pratiche collaborative, partnership di lavoro e cooperazione cross-settoriale.

Se qualcuno ha dei dubbi su quali possano essere gli “effetti” dello youth work, qui ne ha un elenco abbastanza impressionante.

Un secondo elemento di ispirazione mi è venuto invece rispetto alla considerazione che nel documento si fa su cosa lo youth work debba fare oggi: la risposta è “promuovere spazi” e “costruire ponti”.

Cose da ingegneri e architetti, dunque!

Per capire meglio, cito, traducendolo dall’inglese, il testo a pag. 5:

Il terreno comune dello Youth Work è duplice. In primo luogo, si occupa della creazione di spazi per i giovani. In secondo luogo, fornisce ponti nelle loro vite.
Entrambi gli elementi sono fondamentalmente finalizzati a sostenere lo sviluppo personale dei giovani e a rafforzare il loro coinvolgimento nei processi decisionali a livello locale, regionale, nazionale ed europeo. Si concentrano inoltre sulla promozione dello “spirito civico” e sulle responsabilità condivise tra i giovani attraverso l’uso di attività di apprendimento non formale divertenti e creative.
Oltre a creare spazi autonomi per la pratica del lavoro giovanile, lo Youth Work si occupa anche di permettere ai giovani di creare i propri spazi e di aprire spazi che mancano in altre aree – come scuole, formazione e mercato del lavoro. Analogamente, lo Youth Work svolge un ruolo di collegamento nel sostenere l’integrazione sociale dei giovani, in particolare i giovani a rischio di esclusione sociale. Lo Youth Work fornisce anche supporto e sostegno in altri contesti nella vita dei giovani.
C’è una pressione per specificare e misurare questi e altri risultati del lavoro giovanile. Occorre prestare attenzione ai risultati e incidere su dove possono essere misurati, ma il lavoro con i giovani dovrebbe continuare a concentrarsi sui processi e sui bisogni dei giovani,[…].. La Convenzione ha sottolineato che lo Youth Work contribuisce allo sviluppo di atteggiamenti e valori nei giovani così come di competenze e abilità più tangibili.

Mi pare molto importante rilanciare due questioni che qui emergono:

  • lo scopo dello Youth Work è quello di aprire spazi NON solo per i giovani ma anche in altri contesti per i giovani. Mi pare un insight molto importante per chi lavora con i giovani: non è sufficiente aprire spazi giovanili (e mantenerli, che oggi è difficile) ma che bisogna aprire spazi per i giovani in altri contesti di vita, superando la rigida suddivisione a cui siamo abituati tra youth work, studio e lavoro.
  • in un tempo in cui viene chiesto a tutto il Terzo Settore di misurare l’impatto sociale di ciò che si fa (spesso traducendolo in equivalenze economiche) la Convenzione rimanda che si debba farlo MA senza perdere di vista i processi, che sono l’elemento più prezioso del nostro lavoro.

Per chiudere questa breve riflessione: promuoviamo spazi per i giovani in tutti i loro ambiti di vita (= muoviamoci ed usciamo dai nostri più o meno confortevoli gusci, parliamo con le imprese, con le scuole, con le associazioni di anziani, ecc), costruiamo ponti verso l’adultità (= pensiamo a quali competenze si debba rafforzare per poter diventare adulti MA ANCHE pensiamo a progetti che aiutino questa transizione come nell’uscire di casa, nel trovare lavori più stabili, nel favorire anche l’autoimpiego…).

Per chi volesse leggere tutto il documento, lo trovate qui