Key competences nuove (anche) per lo youth work!

La Commissione Europea propone nuove Key competences da sviluppare durante tutta la vita.

Il 17 gennaio ha infatti pubblicato una proposta di adozione di raccomandazione al Consiglio Europeo sulle competenze chiave per l’apprendimento durante tutto l’arco della vita.

Le Key competences sono una conoscenza già assodata, per chi lavora con i giovani soprattutto in ambito internazionale. Nate nel 2006, hanno avuto il compito fondamentale di indicare, seppur in modo molto generale, che:

  1. è necessario prendere coscienza che lo studio in fase iniziale della vita non è sufficiente. È necessario invece aggiornarsi ed imparare durante tutta la vita lavorativa e oltre, tenendo conto dei cambiamenti rapidi a cui siamo sottoposti.
  2. esistono 8 ambiti di apprendimento che, attraverso modalità e contesti diversi (formale, non formale ed informale), è necessario coltivare.

Il cambiamento però era nell’aria. Gli ultimi dati OECD PISA mostrano che uno ogni cinque studenti nella UE ha un livello insufficiente di competenza in lettura, matematica e scienze. Molti giovani non hanno competenze digitali appropriate. Tra gli adulti va ancora peggio: i dati raccolti nel 2012 mostrano che gli italiani si collocano in maggioranza al Livello 2 sia nella literacy (42,3%) che nella numeracy (39,0%), il Livello 3 o superiore è raggiunto dal 29,8% della popolazione in literacy e dal 28,9% in numeracy, mentre i più bassi livelli di performance (Livello 1 o inferiore) vengono raggiunti dal 27,9% della popolazione in literacy e dal 31,9% in numeracy.

Inoltre, sappiamo che le key competences richieste dal contesto in cui si vive e si opera sono continuamente cambianti.

Per questo motivo si è giunti, a più di dieci anni dalla prima versione, ad un rinnovamento delle key competence.

 

Cosa è cambiato nelle key competences

Le precedenti key competences erano:

  1. Communication in the mother tongue;
  2. Communication in foreign languages;
  3. Mathematical competence and basic competences in science and technology;
  4. Digital competence;
  5. Learning to learn;
  6. Social and civic competences;
  7. Sense of initiative and entrepreneurship
  8. Cultural awareness and expression.

Come si può vedere, i titoli delle aree di competenza sono rimaste simili, anche se con alcuni cambiamenti da notare.

In base ai principali risultati del processo di consultazione, i lavori futuri sul concetto di key competences per l’apprendimento permanente si concentrano sui seguenti elementi:

  1. supportare gli studenti di tutte le età e in tutti i settori dell’istruzione e della formazione, incluso l‘apprendimento non formale e informale, per sviluppare meglio le competenze chiave per l’apprendimento permanente;
  2. aggiornare il quadro di riferimento alle esigenze attuali e future per garantire che le persone possano sviluppare le competenze di cui hanno bisogno;
  3. elaborare misure per promuovere l’educazione orientata alle competenze, la formazione e l’apprendimento nella prospettiva dell’apprendimento permanente, segnatamente mediante la creazione di ambienti di apprendimento idonei, il sostegno per gli insegnanti e altro personale educativo e la valutazione e convalida dello sviluppo delle competenze.

In particolare…

Innanzitutto, un buon livello di literacy (capacità di comprendere, utilizzare e interpretare documenti scritti per svolgere un ruolo attivo nella società attuale) è riconosciuto come fondamentale per le altre competenze, e deve essere costantemente migliorato. I dati sopra descritti della rilevazione PIAAC ci dice quanto sia urgente in Italia! Questa ha preso il posto della “communication in mother tongue” che sembrava troppo ambigua (a quale lingua si riferisce? quella che parlo a casa o quella che imparo a scuola?)

Parlare più lingue (il mio motto è “ogni europeo parli almeno quattro lingue del continente”) è una esigenza importante sia per la mobilità interna all’Unione sia per poter accedere a contenuti formativi ed informativi maggiori e di qualità.

La competenza “Mathematical competence and basic competences in science and technology ” mantiene la sua grande importanza soprattutto come forma di approccio ai problemi ed alla ricerca di soluzioni, ma il titolo è stato allineato a quello più comune di “science technology, engineering and mathematical competences” che rimanda all’acronimo STEM.

Le competenze digitali vengono arricchite dagli elementi presentati nel Digital competence framework e vengono incluse la robotica e l’intelligenza artificiale. Ovviamente un peso importante viene dato alla media literacy ed al pensiero critico connesso all’uso delle tecnologie digitali.

Inoltre…

Quelle che in altri contesti sono chiamate soft skills o competenze trasversali vengono qui invece accorpate nel nuovo “Personal, social and learning competences” (spacchettato da learning to learn e social and civic competences) che possono rispondere ai crescenti bisogni delle persone di affrontare l’incertezza e il cambiamento, rimanere resilienti, svilupparsi personalmente e costruire relazioni interpersonali di successo. Includono abilità quali il pensiero critico, il lavoro di gruppo, le competenze interculturali ed il problem solving.

Le “civic competences” vengono rafforzate, forse anche a causa della disaffezione generale al bene comune che si sta osservando ed alla nascita di forme di populismo, razzismo e di spinte nazionaliste. Per questo le competenze civiche devono consentire alle persone di agire come cittadini responsabili e attivi in grado di contribuire a società pacifiche, tolleranti, inclusive e sicure. In questo contesto, l’alfabetizzazione mediatica e le abilità interculturali sono ulteriormente rafforzate.

Le “Sense of initiative and entrepreneurship competences” sono ridefinite in base anche al lavoro fatto dal JRC Entrepreneurship Competence Framework .

Infine,  le “Cultural awareness and expression.” vengono riviste per tenere conto di una più ampia gamma di forme contemporanee di espressione culturale e anche per descrivere più chiaramente come questa competenza sia un elemento cruciale nella comprensione, nello sviluppo e nell’espressione di idee e nel ruolo o ruolo nella società.

Cosa cambia per noi youth workers?

Io credo che fondamentalmente questa rivisitazione ci debba far riprendere in mano il perché lavorare sul tema delle competenze e il come farlo in coerenza con i principi dello Youth Work e delle pratiche dell’educazione non formale.

Personalmente credo che lo scopo, oggi, del nostro lavorare con i giovani sia quello di aiutarli ad ampliare la loro libertà, nell’ottica di Amartya Sen.

A. Sen (in:Sergio Filippo Magni,Capacità, libertà e diritti: Amartya Sen e Martha Nussbaum, doi: 10.1416/10084) ci dice che la capacità di una persona è la sua «libertà sostanziale»: «dall’insieme delle capacità di una persona si riflette la sua libertà di condurre differenti tipi di vita» .

Noi possiamo concepire la  libertà «in senso negativo», come «libertà da», la quale «si concentra precisamente sull’assenza di una classe di vincoli che una persona può esercitare su di un’altra, o che lo Stato può imporre sugli individui».

Oppure la possiamo immaginare «in senso positivo», come «libertà di», la quale «si concentra su ciò che una persona può scegliere di fare o conseguire, piuttosto che sull’assenza di ogni particolare tipo di restrizione che la previene dal fare una cosa o un’altra»

Libertà positiva

Sen tiene poi a distinguere fra almeno due modi di concepire la libertà positiva: il primo la intende come possesso di merci o di beni. Si è in questo senso liberi, quando si è in possesso dei mezzi necessari per fare le cose che si ritengono degne di essere perseguite.

L’altro è inteso come la capacità effettiva della persona di fare le cose che ritiene di valore. Si è in questo senso liberi di fare qualcosa, quando si ha la capacità di farla .
I diritti stessi vengono caratterizzati come una relazione fra un individuo e una capacità, piuttosto che come una relazione fra due parti, fra due o più individui: così il diritto al movimento viene inteso, dice Sen, come «la capacità della persona i di muoversi senza danno»

Lo youth worker, per me, trova il senso del lavorare con le key competences a partire dalle capabilities che permettono alle persone, effettivamente, di esercitare la propria libertà.

Che ne pensate? come lavorate voi, nel concreto, con le key competences?

 

 

Aiutiamo Amanda a capire meglio lo Youth Work!

Chi è Amanda e in cosa vuol capire dallo Youth Work?

sono una studentessa del corso di laurea magistrale di Metodologia, Organizzazione e Valutazione dei Servizi Sociali presso l’Università degli Studi di Trento.

Attualmente mi trovo impegnata nella stesura del mio elaborato finale, dal titolo Youth Work e certificazione delle competenze. Riflessioni sul riconoscimento della professione nel contesto italiano”. La ricerca si propone di analizzare la figura dello Youth Worker (o animatore socioeducativo) nel contesto europeo e italiano, indagando lo stato attuale e le prospettive future di riconoscimento della professione”

Amanda ci chiede di aiutarla a compilare un questionario, che le servirà, una volta elaborato, ad avere un quadro più chiaro della situazione italiana.

Il questionario è qui: se vi prendete un attimo per rispondere, Amanda e il movimento dello Youth Work in Italia vi sarà grato!

Ad Amanda invece chiediamo di raccontarci, a tesi discussa, cosa ha scoperto!

Se invece vi state chiedendo cosa accada in Europa sullo Youth Work, allora potete andare a leggere questo articolo!

 

Domani vado a lavorare all’estero ma non so come dire cosa so fare!

lavorare all’estero grazie ad ESCO

E se domani decidessi di andare a vivere o lavorare all’estero, in un altro paese dell’Unione, come potrei spiegare a miei potenziali datori di lavoro cosa so fare, cosa sono, che qualifiche ho?

Per questa cosa è nato ESCO!

Proviamo a vedere meglio di cosa si tratta.

Il Sistema Nazionale di Certificazione delle competenze

La prendo un po’ lunga, ma credo serva per comprendere il contesto.

Da qualche anno mi occupo di riconoscimento e validazione delle competenze acquisite in ambito non formale ed informale. Si tratta, in sintesi, di aiutare le persone a capire quali sono le competenze che hanno sviluppato lavorando, facendo volontariato, dentro lo youth work…

Ma a qual fine?

Non tutti lo sanno, ma la Legge Fornero (sì, quella degli esodati) ha previsto la nascita del Sistema Nazionale di Certificazione delle competenze. Il Sistema prevede che sia possibile farsi riconoscere le competenze per acquisire possibili qualifiche professionali. Per far questo le qualifiche sono state mappate in competenze e sono state condivise tra le Regioni, che sono in realtà le istituzioni che finora hanno gestito la formazione professionale e i profili di competenze per le qualifiche.

Quindi, se io oggi dovessi cambiare lavoro e non avessi la qualifica necessaria, ma avessi sviluppato nel corso degli anni le competenze richieste dal profilo professionale potendolo dimostrare (con quelle che sono chiamate “evidenze”) allora potrei farmele riconoscere “fino a qualifica”.

E quindi l’ESCO?

ESCO è la classificazione multilingue delle qualifiche, competenze, abilità e professioni in Europa e fa parte della strategia Europa 2020 ed è disponibile, nella sua prima versione, dal mese di luglio 2017. E’ uno strumento molto utile per chi voglia andare a lavorare all’estero.

Con ESCO possiamo individuare e classificare le abilità, le competenze, le qualifiche e le professioni rilevanti per il mercato del lavoro dell’UE e per l’istruzione e la formazione e mettere in relazione i diversi concetti.

Questo breve video può aiutare a comprenderne meglio il funzionamento:

… e già, è in inglese… per chi non è riuscito a comprenderlo, provo qui ad evidenziarne alcuni punti.

ESCO è utile per chi si occupa di occupazione e occupabilità (quindi anche gli youth workers…) perché:

  • ci fornisce un linguaggio condiviso e referenziato per l’occupazione e l’istruzione e formazione
  • aiuta la cooperazione attraverso i confini e le lingue

In Esco troviamo già mappate ed  analizzate 3,000 professioni, 13,500 abilità/competenze, 2,400 qualifiche e tutto questo è accessibile direttamente dall’interfaccia di ricerca nella lingua che si vuole (ce ne sono 26…).

Proviamo ad usarlo…

Ho provato ad usarlo, cercando youth worker in italiano, immaginando che possa servire a chi di noi voglia andare a lavorare all’estero, in un altro paese dell’Unione.

Risultato: nessuno.

Ho fatto allora la ricerca in inglese, sempre per youth worker. Questo il risultato:

Come previsto, la professione youth worker è mappata in inglese con una serie di etichette alternative ma anche di professioni più o meno contigue.

Posso fare una prima “traduzione” in italiano e vedere che effetto fa. Come? cambiando la lingua da inglese ad italiano sulla scheda della professione.

Ecco, la traduzione della professione forse è un po’ deludente… Assistente sociale per i giovani mi pare un po’ fuorviante rispetto anche alla traduzione stessa che la Commissione dà rispetto allo youth worker nei documenti ufficiali (animatore socioeducativo).

E quindi?

Ho avuto l’occasione di parlarne con Dimitrios Pikios, programme manager della Commissione Europea, che si occupa di ESCO.

La mia perplessità è stata accolta (“siamo ad una prima versione, dobbiamo partire con un vasto progetto di affinamento ed eventuale revisione dei termini”).  Anzi, mi ha sollecitato a facilitare il miglioramento delle traduzioni mandando alla Commissione eventuali rimandi e suggerimenti.

Credo che questo sia importante e necessario, e se non lo facciamo noi, youth workers, rischiamo che altri che non conoscono il nostro lavoro lo facciano per noi.

Una seconda funzione molto, molto interessante è quella delle competenze connesse alla professione. Stiamo sempre sullo Youth Worker, ora nella versione italiana. Ecco il risultato da screenshot:

L’elenco in realtà continua oltre la schermata. Se andiamo su una di queste voci ed entriamo, troviamo una descrizione breve della competenza, con la connessione con le professioni in cui questa competenza è presente:

Unico problema: è in inglese! chiaramente anche qui si evince come il portale sia ai suoi primi vagiti e ci sia un lungo lavoro ancora da fare.

Uno strumento molto utile

Per concludere: ESCO è uno strumento assolutamente interessante e utile per tutti coloro che fanno orientamento ed accompagnano i giovani nel riconoscimento delle proprie competenze acquisite ovunque e non solo nei contesti di istruzione e formazione perché:

  • aiuta a dare ordine nelle competenze;
  • suggerisce le parole a chi forse non riesce a dirle;
  • aiuta a fare ponte fra le nostre esperienze di apprendimento ed il mondo delle competenze in istruzione e lavoro.

E’ assolutamente migliorabile, e per farlo noi possiamo dare un contributo significativo andando a controllare le professioni che ci interessano, individuando le competenze/abilità e suggerendo modifiche agli estensori delle voci. Sono tutti contributi importanti per chi voglia, un domani, andare a lavorare all’estero.

Se avete commenti, lasciateli qui sotto e ne parliamo, ok?

Cosa fa lo Youth Work oggi?

Ho ripreso ultimamente il documento finale della Convenzione europea sullo Youth Work del 27-30 aprile del 2015 a Bruxelles, in cui più di 500 delegati da tutt’Europa si sono trovati per ragionare sullo youth work e sulle sfide attuali da affrontare.

Mi sono reso conto di alcune intuizioni interessanti che vale la pena divulgare.

Intanto hanno definito alcune dimensioni del ruolo ed impatto dello youth work:

  • favorire l’avanzare della democrazia, dei diritti umani, della cittadinanza, dei valori europei, della partecipazione, delle pari opportunità
  • promuovere la costruzione della pace, della tolleranza, dell’apprendimento interculturale; combattere la radicalizzazione, prevenire l’estremismo
  • affrontare e gestire le ambiguità sociali e personali ed il cambiamento
  • rafforzare le identità e appartenenze positive e l’autonomia
  • sviluppare le soft skills, le competenze e le abilità, coltivando capacità di navigazione e ampliando gli orizzonti personali
  • abilitare le transizioni verso una adultità “di successo”, particolarmente nell’istruzione e nella vita lavorativa
  • cementare l’inclusione sociale e la coesione
  • ingaggiare i giovani in pratiche collaborative, partnership di lavoro e cooperazione cross-settoriale.

Se qualcuno ha dei dubbi su quali possano essere gli “effetti” dello youth work, qui ne ha un elenco abbastanza impressionante.

Un secondo elemento di ispirazione mi è venuto invece rispetto alla considerazione che nel documento si fa su cosa lo youth work debba fare oggi: la risposta è “promuovere spazi” e “costruire ponti”.

Cose da ingegneri e architetti, dunque!

Per capire meglio, cito, traducendolo dall’inglese, il testo a pag. 5:

Il terreno comune dello Youth Work è duplice. In primo luogo, si occupa della creazione di spazi per i giovani. In secondo luogo, fornisce ponti nelle loro vite.
Entrambi gli elementi sono fondamentalmente finalizzati a sostenere lo sviluppo personale dei giovani e a rafforzare il loro coinvolgimento nei processi decisionali a livello locale, regionale, nazionale ed europeo. Si concentrano inoltre sulla promozione dello “spirito civico” e sulle responsabilità condivise tra i giovani attraverso l’uso di attività di apprendimento non formale divertenti e creative.
Oltre a creare spazi autonomi per la pratica del lavoro giovanile, lo Youth Work si occupa anche di permettere ai giovani di creare i propri spazi e di aprire spazi che mancano in altre aree – come scuole, formazione e mercato del lavoro. Analogamente, lo Youth Work svolge un ruolo di collegamento nel sostenere l’integrazione sociale dei giovani, in particolare i giovani a rischio di esclusione sociale. Lo Youth Work fornisce anche supporto e sostegno in altri contesti nella vita dei giovani.
C’è una pressione per specificare e misurare questi e altri risultati del lavoro giovanile. Occorre prestare attenzione ai risultati e incidere su dove possono essere misurati, ma il lavoro con i giovani dovrebbe continuare a concentrarsi sui processi e sui bisogni dei giovani,[…].. La Convenzione ha sottolineato che lo Youth Work contribuisce allo sviluppo di atteggiamenti e valori nei giovani così come di competenze e abilità più tangibili.

Mi pare molto importante rilanciare due questioni che qui emergono:

  • lo scopo dello Youth Work è quello di aprire spazi NON solo per i giovani ma anche in altri contesti per i giovani. Mi pare un insight molto importante per chi lavora con i giovani: non è sufficiente aprire spazi giovanili (e mantenerli, che oggi è difficile) ma che bisogna aprire spazi per i giovani in altri contesti di vita, superando la rigida suddivisione a cui siamo abituati tra youth work, studio e lavoro.
  • in un tempo in cui viene chiesto a tutto il Terzo Settore di misurare l’impatto sociale di ciò che si fa (spesso traducendolo in equivalenze economiche) la Convenzione rimanda che si debba farlo MA senza perdere di vista i processi, che sono l’elemento più prezioso del nostro lavoro.

Per chiudere questa breve riflessione: promuoviamo spazi per i giovani in tutti i loro ambiti di vita (= muoviamoci ed usciamo dai nostri più o meno confortevoli gusci, parliamo con le imprese, con le scuole, con le associazioni di anziani, ecc), costruiamo ponti verso l’adultità (= pensiamo a quali competenze si debba rafforzare per poter diventare adulti MA ANCHE pensiamo a progetti che aiutino questa transizione come nell’uscire di casa, nel trovare lavori più stabili, nel favorire anche l’autoimpiego…).

Per chi volesse leggere tutto il documento, lo trovate qui